martedì 21 novembre 2017

I video che hanno fatto la storia

Hai mai sentito parlare dell'effetto Streisand? Se no, ti spiego subito di cosa si tratta. Secondo Wikipedia...
L'effetto Streisand (in inglese Streisand effect) è un fenomeno mediatico per il quale un tentativo di censurare o rimuovere un'informazione ne provoca, contrariamente alle attese, l'ampia pubblicizzazione.
Ma perché si chiama così?
Il nome Streisand effect si deve a un blogger e imprenditore statunitense, Mike Masnick, che prese spunto da una vicenda avvenuta in California: l'attrice e cantante Barbra Streisand, nel 2003, intentò un'azione legale nei confronti del sito web Pictopia, del fotografo Kenneth Adelman e altri al fine di ottenere un risarcimento di 10 milioni di dollari e la rimozione dal citato sito di quelle immagini di Adelman che, a giudizio di Streisand, mettevano in pericolo il suo diritto alla privacy in quanto raffiguravano la propria villa a Malibù.
Adelman si difese sostenendo che le sue fotografie avevano scopo solo documentale, in quanto tese a rappresentare l'erosione costiera della regione e che le immagini sarebbero state disponibili al pubblico nel quadro di un progetto di monitoraggio delle coste californiane. Quale risultato, la notizia della denuncia di Barbra Streisand ebbe l'effetto di moltiplicare l'attenzione sulla fotografia incriminata della sua villa (edificio che, come fece ironicamente notare an che la testata on-line The Smoking Gun, era visibile già da tempo anche sulle mappe satellitari del sito web GlobeXplorer) la quale passò da poche migliaia a più di 420 000 visualizzazioni nel mese successivo alla notizia.
L'effetto Streisand è stato tirato in ballo da Paolo Attivissimo a proposito della vicenda riferita da Guido Scorza su Repubblica: il tribunale di Roma con una sentenza confermata, nelle scorse settimane, dalla corte d'Appello ha accolto le domande di Mediaset e, di conseguenza, ha ordinato all'editore di Repubblica di rimuovere un certo video, insieme a decine di altri in gran parte di analoga natura, dalle proprie pagine web, dove era stato pubblicato a corredo di un articolo di informazione, e di astenersi dal pubblicarne di ulteriori. Il video in questione è quello nel quale Silvio Berlusconi col cuore in mano (?) proclamava «È assurdo soltanto pensare che io abbia pagato per avere rapporti con una donna. È una cosa che non mi è mai successa neanche una sola volta nella vita. È una cosa che considererei degradante per la mia dignità...», te lo ricordi? Risale a gennaio 2011, dopo che Berlusconi venne travolto dallo "scandalo Ruby".
Come osserva Scorza, è impossibile raccontare il contenuto del video a parole senza che qualcosa vada perduto, perché «Quelle immagini sono tessere uniche e insostituibili del mosaico della storia: il capo del governo che usa le sue televisioni contro la magistratura. Eppure quelle immagini rischiano di essere sottratte, per sempre, alla cronaca di questi anni e, quindi, alla storia». Infatti, «Secondo i legali delle televisioni della famiglia Berlusconi, la pubblicazione del video violerebbe i diritti d'autore delle proprie clienti», essendo stato trasmesso all'epoca dalle reti Mediaset.
A questo punto Guido Scorza, che è avvocato nonché docente di diritto delle nuove tecnologie e quindi sull'argomento ne sa eccome, espone alcuni principi generali in poche righe da incorniciare.
Il diritto d'autore, nato come strumento di massimizzazione della circolazione del sapere, è piegato a strumento di censura, utilizzato e brandito per chiedere e ottenere che di certe persone e di certi fatti non si possa parlare o, almeno, non si possa parlare mostrando immagini e parole scandite dalla viva voce dei protagonisti. È una strada sbagliata, pericolosa, perversa.
Non si può subordinare il diritto di cronaca al diritto d'autore, non si può pretendere che per far cronaca si debba prima passare alla cassa e pagare il conto al potente di turno perché - sempre che voglia - stabilisca il prezzo e presti il consenso all'utilizzo di una manciata di secondi di un video che lui stesso ha diffuso urbi et orbi sintanto che lo ha ritenuto opportuno.
Non è una questione di soldi e non è neppure una questione di mercato o beghe tra concorrenti. È una questione di principio, di libertà, di democrazia e di futuro, un futuro nel quale se cronaca e storia non restano libere, autonome, terze e critiche, la democrazia è in pericolo.
Il video non lo linko, tanto potrebbe sparire da un momento all'altro per poi ricomparire chissà dove, comunque l'ho salvato sul mio hard disk. E confido in chiunque sia disposto a lottare affinché quel filmato, come pure qualunque altro documento storico più o meno importante, non venga inghiottito dall'oblio... un finale che ricorderebbe tanto, troppo, il Grande Fratello di George Orwell.

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