sabato 14 ottobre 2017

Com'è difficile conciliare famiglia e lavoro

Stamattina sulla mia timeline di Facebook mi sono imbattuta in questo articolo de Il Sole 24 Ore, dal quale risulta che ben «il 78% delle dimissioni convalidate dall’ispettorato del lavoro nel 2016 sono state di donne con figli. Di queste, quasi la metà ha detto apertamente che il problema era proprio l’impossibilità di tenere insieme tutto. Chi ha indicato che “mancano i nonni”, chi che il figlio non è stato accettato al nido, chi che non riesce a sostenere i costi “dell’assistenza del neonato”. Nessuna ha potuto scrivere, però, della tristezza, della solitudine e del dolore che rinunciare al lavoro ha significato per lei. Nessuna ha avuto, su quel foglio di dimissioni, la possibilità di raccontare delle situazioni, dei commenti e delle azioni che l’hanno spinta, un passo alla volta, fino alla porta».
Patrizia, una giovane manager che nella realtà non esiste – è un personaggio dello spettacolo teatrale Scusate l'attesa andato in scena dal 3 all'8 ottobre al Teatro Petrolini di Roma – ma realistica lo è fin troppo, ha indirizzato un'accorata lettera aperta alla leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, la quale a differenza sua non si è vista costretta a scegliere fra maternità e carriera. Ecco un passaggio chiave:
Dovrei fare una scelta razionale e rinunciare alla mia gravidanza sperando in un momento migliore. Così tutto andrebbe bene. Ma poi mi chiedo “qual è il momento migliore?” Forse quello in cui andrò in pensione, se mai ci arriverò.
E già, il famoso "momento giusto per fare un figlio". Se in Italia ci si sposa sempre più tardi e nascono sempre meno bambini, è perché in genere le giovani coppie prima di mettere su casa aspettano di aver acquisito un'accettabile stabilità economica; quando poi l'hanno raggiunta, prima di mettere in cantiere un erede ci pensano non due ma mille volte, perché troppo spesso la donna finirebbe per ritrovarsi senza lavoro e senza reddito, soprattutto se non ci sono nonni, zii, parenti e amici su cui poter contare come babysitter a costo zero.
Qui di seguito riporto un estratto del primo capitolo del libro La banda della culla, linkato su Facebook dall'autrice stessa, la scrittrice satirica Francesca Fornario.
– Ma mi dica qualcosa di lei, è sposata?
– No.
– Fidanzata?
– Sí.
– Ha figli?
«Non posso averne, mi hanno sottoposto a un’isterectomia quando avevo cinque anni. Inoltre il mio fidanzato è sterile per una forma congenita di varicocele ereditata dal padre ciclista. Anche lui era sterile. I maschi della sua famiglia sono sterili da molte generazioni. E la nostra religione ci vieta l’adozione. Non possiamo adottare figli né mangiare legumi secchi dopo il tramonto».
La centesima volta che un direttore delle risorse umane avesse preteso di valutare le sue qualità professionali domandandole se avesse figli, Claudia avrebbe risposto cosí. Lo aveva promesso.
Ma è ancora ferma a cinquantatre.
– Niente figli.
– Sta pianificando di averne?
– No, no. Non adesso. Prima o poi. Poi.
– Ah, certo. Bene. Be’, lei ha davvero un ottimo curriculum, signorina Prati, una formazione di altissimo livello. Congratulazioni! Non le nascondo però che l’azienda in questa fase è piú orientata verso un diplomato.
A sedici anni, Claudia credeva che la cosa peggiore che un uomo potesse dire a una donna fosse: «Ti lascio perché non ti merito».
Ingenua.
È: «Lei è troppo qualificata per questo lavoro».
– Comunque, le faremo sapere.
Le faremo sapere. Sono stato benissimo, ora però devo andare in missione segreta su Marte. Ti chiamo presto.
Certe dinamiche tipiche dei colloqui di lavoro le ho sperimentate pure io in prima persona, sebbene non a tali livelli di invadenza. Ad esempio, nel corso dell'ultimo colloquio che ho sostenuto, il selezionatore di punto in bianco mi ha chiesto come mai avessi dato le dimissioni dal mio precedente impiego per trasferirmi al Nord – dal momento che era piuttosto chiaro che non l'avessi fatto per motivi professionali – e mentre accantonavo l'idea di avvalermi della facoltà di non rispondere e ammettevo sinceramente di averlo fatto per ragioni sentimentali, dentro di me avevo ben presenti le implicazioni che questo avrebbe potuto suscitare nella mente del mio interlocutore. Alla fine, sebbene il colloquio fosse andato bene, sono stata scartata, ufficialmente perché mi è stata preferita un'altra persona che poteva vantare una maggiore esperienza. :-/
[L'immagine che apre il post illustra un articolo di NanoPress Donna che espone una verità rassicurante: con una mamma che lavora, il figlio cresce meglio. Sempre che lei sia riuscita a tenerselo, il lavoro...]

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