giovedì 26 gennaio 2017

La sofferenza (non) rende più forti

Di recente sulla pagina Facebook Madame Connasse – che, detto per inciso, se mastichi un pochino di francese ti consiglio senz'altro di seguire, perché la trovo deliziosa – ho letto la citazione qui sotto, attribuita allo scrittore francese Jean-Christophe Grangé, autore fra l'altro del libro dal quale è stato tratto il film I fiumi di porpora, e tratta dal suo romanzo Le passager, in italiano Amnesia.

«Tout ce qui ne me tue pas me rend plus fort». C'était une connerie. Du moins dans son acception banale et contemporaine. Au quotidien, la souffrance n'endurcit pas. Elle use. Fragilise. Affaiblit. L'âme humaine n'est pas un cuir qui se tanne avec les épreuves. C'est une membrane sensible, vibrante, délicate. En cas de choc, elle reste meurtrie, marquée, hantée.
che tradotto in italiano vuol dire...
«Tutto quello che non mi uccide mi rende più forte». Era una stronzata. Almeno nella sua accezione banale e contemporanea. Nella vita quotidiana, la sofferenza non rafforza. Essa consuma. Rende fragili. Indebolisce. L'anima umana non è una pelle che viene conciata con le prove. È una membrana sensibile, vibrante, delicata. In caso di choc essa rimane ferita, segnata, perseguitata.
L'autore fa riferimento alla celebre citazione di Friedrich Nietzsche «Quello che non mi ammazza mi rende più forte», interpretandola però in modo abbastanza diverso rispetto all'accezione più diffusa, ovvero che le difficoltà rappresentano un'opportunità per crescere e maturare. E devo ammettere che il punto di vista espresso da Grangé rappresenta un valido spunto di riflessione...

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