martedì 7 gennaio 2014

La vita è un treno

Oggi segnalo rapidamente qualcosa che ho appena scoperto per caso e che reputo degno d'interesse: ogni mercoledì, a partire da domani 8 gennaio, sul sito de Il Fatto Quotidiano verranno pubblicate le quattro puntate – della durata di 5-7 minuti l'una – della docu-serie La vita è un treno. Si tratta di un racconto filmato sulle tratte delle ferrovie italiane abbandonate che trae spunto dai reportage pubblicati su Il Fatto Quotidiano dal giornalista e scrittore Antonello Caporale ed è curato dall'apprezzato regista Enzo Monteleone. Ecco qui sotto il promo.


Questa sera, a partire dalle ore 21, il Circolo degli Artisti di via Casilina Vecchia 42 a Roma ospiterà la presentazione di La vita è un treno. All'evento parteciperanno Antonio Padellaro e Peter Gomez, oltre agli autori Antonello Caporale ed Enzo Monteleone.
Questa iniziativa mi sta particolarmente a cuore, anche perché nel maggio scorso ho avuto il piacere di viaggiare sulla Transiberiana d'Italia grazie a TransIta Onlus, e trovo che la dismissione e l'abbandono di una tratta ferroviaria siano sempre qualcosa di negativo. Beh, difficile spiegare a parole quello che provo... mi sa che è meglio se mi limito a copincollare una parte del testo che accompagna il promo sopra riportato!
‘La vita è un treno’ è insieme un viaggio sentimentale e un atto di denuncia civile. Un percorso lungo tremila chilometri seguendo la traccia della ruggine dei binari delle tratte ferroviarie dismesse. Il treno non è soltanto vettore, ma connettore di comunità, bruco che attraversa le pianure, buca le montagne, raggiunge i paesi. Da Segesta, in Sicilia, a Dogliani in Piemonte, da Fano (provincia di Pesaro e Urbino) a Capranica (Viterbo), o lungo la cresta del Reventino in Calabria: sono centinaia le tratte chiuse al traffico, le stazioni deserte, luoghi oggi morti che raccontano una vita che fu. È una grande e potente metafora dell’Italia mandata in soffitta, dimenticata, sotterrata dai ricordi, persa alla vista. Di qua corrono a trecento all’ora, di là niente. Di qua investimenti per miliardi di euro, di là solo dismissioni, chiusure anticipate, seggiolini rotti. Un Paese doppio che rinuncia ad avere memoria di sé, sceglie l’asfalto, i viadotti, le opere faraoniche infinite, accarezza ogni scempio come figlio e legittima ogni spreco. E giudica solo il treno come un costo insostenibile, come se il vagone fosse il luogo malefico dove le virtù si trasformano in vizi, i soldi in prebende, gli appalti in clientele. Si perde persino il senso della geografia. Le stazioni abbandonate sono testimoni mute di una distanza che aumenta tra la campagna e la città, la cifra di una maestosa dismissione civile e culturale. Con una narrazione che aiuta a capire, e forse anche a maledire, a commuoversi o soltanto a ricordare la misura delle responsabilità della classe dirigente. Quel che c’era e si è distrutto, quel che si poteva conservare e si è invece lasciato alla ruggine, il colore delle nostre colpe.

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