martedì 3 novembre 2009

Morale della favola

Pinocchio è una di quelle fiction che, già a metà della prima puntata, mi faceva venir voglia di smettere di vederla, eppure ho tenuto duro fino alla fine della seconda puntata... per sete di conoscenza, diciamo! ;-) Tra l'altro volevo cercare di capire come mai una storia che aveva segnato probabilmente la fase più negativa nella carriera di Roberto Benigni, dopo i fasti de La vita è bella, facesse registrare ascolti così notevoli in un periodo in cui pure l'Auditel è in crisi. Guardando il cast internazionale di questo remake viene da pensare che non si sia badato a spese (forse, se hanno risparmiato su qualcosa, è stato sugli effetti speciali... ;-)). Ma ce n'era davvero bisogno? Non sarebbe stato meglio rispolverare dagli archivi Rai lo storico sceneggiato del '72 diretto da Luigi Comencini e interpretato da Nino Manfredi, Gina Lollobrigida, Franco & Ciccio, ché tanto la storia sempre quella è? L'unica trovata originale (almeno credo) è stata quella di intrecciare la vicenda dell'autore Carlo Collodi con quella di Mastro Geppetto.
Lo ammetto: a me la fiaba di Pinocchio non è mai piaciuta, mi ha sempre trasmesso una certa inquietudine... ma fino all'altro giorno non avrei saputo spiegare bene il perché. La fiction mi ha rinfrescato la memoria, ecco. Non solo manca una bella e indomita principessa in attesa del principe azzurro nella quale immedesimarmi ;-)... ma il succo della storia lo riassumerei così: «Come inculcare ai vostri pargoli un sacco di insegnamenti validi, traumatizzandoli però con i sensi di colpa». Credo che persino Barbablù faccia meno impressione, se non altro perché racconta il Male in una forma più lontana dalla consueta quotidianità.
Fai il disubbidiente? Le persone a te care passeranno i guai. Adori divertirti? Ti trasformerai in un somaro e qualcuno vorrà farti la pelle, quando non servirai più. Ma ecco l'aspetto che ho trovato maggiormente sconcertante: la fata turchina "muore" dal dispiacere quando Pinocchio non mantiene la promessa fattale... salvo poi "risuscitare" quando l'ormai ex burattino scopre la retta via. A questo punto mi è tornata in mente una lettera che avevo letto nella rubrica di consigli psicologici di non so quale rivista: una mamma era preoccupata per la sua bambina, la quale non accettava la morte della nonna, e temeva che "se ne fosse andata" per colpa sua. In confronto a questo, l'arcinota storiella del naso che ti si allunga se dici le bugie appare come un'innocua bazzecola. Gli unici aspetti della trama che ho trovato davvero edificanti, sia pur con qualche riserva, sono stati il desiderio di paternità di Geppetto e la sua difficoltà di essere un buon padre. Per Pinocchio era ancora più arduo essere un bravo figlio, visto che si è ritrovato di carne e ossa (con un cuore di legno) da un momento all'altro! :-) Comunque ho provato un autentico moto di rabbia quando il monello ha scambiato il biglietto d'ingresso allo spettacolo dei burattini con l'abecedario che suo padre gli aveva comprato vendendo l'unica giacca che possedeva per proteggersi dal freddo. Se fossi una tipa crudele avrei sperato che Mangiafuoco scegliesse proprio lui, con l'occasione ridiventato burattino, come combustibile! ;-)
Concludo segnalando una spassosa rielaborazione dell'incipit del romanzo in forma di fincipit... :-D
[P.S.: un Pinocchio molto simile a quello della foto sopra, tratta da Il Giocattolo, devo avercelo da qualche parte in soffitta]

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