venerdì 19 settembre 2008

Cucina etnica 2 - Sono recidiva

Oggi per pranzo ho pensato bene di fare un salto dal "kebabbaro" di cui avevo già parlato in questo post. Stavolta volevo provare i falafel, ma c'è stato un malinteso con il pakistano che stava dietro il bancone: dopo aver guardato i cartelli esposti, gli ho chiesto un "menu falafel" (non sapendo dove mettere l'accento), e dalla sua risposta sembrava quasi che di falafel il relativo menu ne comprendesse uno solo, che è grosso come una polpettina... francamente troppo poco per la fame che avevo. Allora, per non impelagarmi in un dialogo che si preannunciava complicato, ho ripiegato di nuovo sul kebab, questa volta sotto forma di panino. Come se non fosse già abbastanza arduo addentare il panino strapieno senza far cadere il contenuto sul tavolino, per savoir vivre mi è toccato dare un minimo di spago al giovinotto che, nel locale deserto, desiderava combattere la noia attaccando bottone e facendosi un po' di affari miei. A un certo punto, anche se non è assolutamente mia abitudine, ho iniziato a sparare delle fandonie tanto per sembrare un po' più cool, ma mi sa che non ci hanno creduto neppure i muri!  Anche se non sono mai stata particolarmente brava a capire certe cose, comunque, ho avuto la sensazione che il tizio volesse provarci... ma io avevo già intuito che tra di noi non potrebbe mai funzionare, a causa degli insormontabili problemi di comunicazione!  Se non fossero provvidenzialmente arrivati tre ragazzi a prendere un panino, mi sa che alla fine quello avrebbe tentato di estorcermi pure il numero di cellulare...
Mi è rimasta la curiosità di assaggiare i samosa, il riso basmati e ovviamente 'sti benedetti falafel; magari la prossima volta proverò a visitare il locale concorrente di fronte, che avevo già visto, ma mai realmente "registrato in memoria". Ho pure fatto un salto al Giappo che ha aperto da poco lì vicino sospinto da una campagna pubblicitaria incentrata sullo slogan «ReSUSHIta»; ho chiesto se funzionasse pure da take away, e mi è stato risposto di sì. Quindi una di queste sere magari provo il sushi, sperando che a me vada meglio che a Maxxeo... e sempre che il giapponesino non abbia clamorosamente frainteso la domanda «Fate pure servizio da asporto?».

3 commenti:

  1. Il termine kebab deriva dal turco “Döner Kebap” che significa semplicemente carne che gira, non a caso anche il termine greco gyros e il termine arabo shawarma, usati per indicare lo stesso tipo di prodotto, hanno lo stesso significato. E’ la sua cottura così particolare a dare al kebab quel gusto inconfondibile che gli appartiene. La carne, se volete un kebab originale, deve essere o di agnello o di montone o di vitello o di pollo ma non di maiale, visto che la cultura mussulmana la vieta; il kebab fatto con carne di maiale può, in realtà, essere soltanto il gyros greco. Il metodo di cottura classico è lo spiedo verticale; la carne viene tagliata in fette sottili, condita con varie spezie, salata e infilzata nello spiedo (a volte può essere anche marinata). Le fette disposte l’una sopra l’altra creano un grande cilindro sulla cui estremità superiore vengono poste le parti più grasse della carne, in modo che durante la cottura il grasso coli e insaporisca il kebab. In passato lo spiedo veniva avvolto dalla brace, disposta intorno alla carne verticalmente e coperta da apposite griglie; oggi si usano invece strumenti adatti a gas o a corrente elettrica. La particolarità del piatto sta nel fatto che la carne cuoce per molto tempo, divenendo incredibilmente tenera e acquistando un sapore inconfondibile. Il kebab viene tagliato verso l’interno dal basso verso l’alto per lasciare il grasso sulla carne in modo che non si secchi; in passato quest’operazione veniva effettuata con un coltello oggi esistono invece apposite macchinette.......
    Tutto questo per dire cosa ???
    volendo farci caso bene...ma proprio bene bene....si potrà vedere arrivare ogni tot numero di giorni un frigo/furgoncino molto anonimo, con targa tedesca, che scarica uno o due rotoli di carne congelata senza incarti di protezione alcuna, questi vengono passati dalle nude mani dell'autista alle nude mani del kebabbaro.
    Che carne sarà quella?...
    l'igiene?...
    dalla germania?...
    i bollini e timbretti vari per la sicurezza del consumatore?...
    Ma dico, si fa tanto i filosofi quando ci si reca dal proprio macellaio "...Giovanni...mi raccomando che sia fresca..." e ancora "...Giovanni...è nostrana?.." e ancora "....Giovanni...solo rossa mi raccomando e un filino di grasso..." e via dicendo.
    Provate a fare le stesse domande per il "Döner Kebap".
    haahhahaha :-)

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  2. Ti auguro anch'io di non fare la mia stessa esperienza :D
    PS: ReSUSHIta? Che slogan curioso!

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  3. @utente anonimo: ti ringrazio molto per l'esauriente spiegazione... in seguito alla quale difficilmente oserò rimettere piede dal kebabbaro! :-)

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